Nel XIX ° secolo l’Italia unì le sue regioni in un solo regno e l’industrializzazione portò il paese verso un radicale cambiamento come mai era avvenuto nel passato.
L’invenzione delle ferrovie, l’esodo dalle attività rurali, l’incremento dell’urbanizzazione e la conseguente nascita di vaste aree periferiche cittadine, cambiò definitivamente l’assetto sociale anche nel capoluogo dell’Emilia Romagna.
Per supplire al bisogno di polmoni verdi urbani, alla fine del secolo sorsero parchi e giardini pubblici attraverso l’acquisizione, nelle varie città italiane, di aree o terreni appartenuti a ville e proprietà padronali.
Il piano di abbellimento di Bologna con strade, viali alberati e piazze, comprese anche l’intento di realizzare una nuova area verde ricreativa, quali furono i Giardini Margherita.
L’idea fu lanciata nel 1862 dal sindaco Carlo Pepoli, pochi anni prima dell’Unità d’Italia, così, un rappresentante dell’aristocrazia bolognese nel Consiglio Comunale, il conte Angelo Tattini (che sposò la figlia di uno storico generale di Napoleone, Gioacchino Murat) anticipò i costi per l’ ottenimento del terreno su cui sarebbero sorti i famosi “Giardini”, come li chiamano ancora oggi i bolognesi, e realizzò una sorta di “compromesso” d’acquisto in favore del Comune il quale avrebbe potuto gestire 26 ettari di terreno, per una decina di anni, in attesa di stabilire la cifra definitiva da versare ai proprietari, i fratelli Bassi.
Il progetto per il parco era da realizzarsi in perfetto stile inglese (con i suoi tipici laghetti) commisto, però, di elementi naturalistici propri del “giardino all’italiana”, secondo la moda dell’epoca: fu affidato da parte del nuovo sindaco, Gaetano Tacconi, nientemeno che al sovrintendente dei parchi pubblici di Torino, il conte Ernesto Balbo Bertone di Sambuy che lo redasse nel 1874.
Nel 1875 si diede il via definitivo ai lavori che furono gestiti da Marcellino e Giuseppe Roda, molto noti, all’epoca, per aver realizzato importanti giardini piemontesi, tra cui quello di Racconigi.
Nel 1885 si svolsero varie riunioni comunali per organizzare la piantumazione, le specie di arbusti ed alberi da scegliere per arredare i Giardini Margherita ma, sfortunatamente, un incendio distrusse la documentazione redatta; dunque non è possibile conoscere, con certezza, quale fu la prima disposizione degli alberi e quali furono le specie selezionate dai progettisti.
Dai documenti successivi risulta che fossero stati piantati dei sempreverdi, come gli abeti, misti ad esemplari esotici, tra cui salici piangenti, platani e ippocastani, visibili ancora oggi, disseminati per l’area del parco.
I Giardini Margherita furono inaugurati ufficialmente il 13 luglio 1879 -in occasione di un evento in favore degli alluvionati del territorio ferrarese- ma aperti al pubblico dal 16 luglio: il nome originario fu “Passeggio Regina Margherita”, in omaggio alla giovane sposa del re Umberto I, incoronato l’anno precedente.
Nel 1876 durante i lavori di realizzazione del parco, l’ingegnere e archeologo Antonio Zannoni trovò, nel terreno di scavo, 172 tombe d’epoca etrusca. Questi importanti reperti oggi sono esposti al pubblico, nel Museo Archeologico felsineo. Altre sepolture furono portate alla luce negli anni successivi, tra cui una grande tomba in pietra, a capanna, risalente al V° secolo a.C.
Il 6 maggio 1888 i Giardini furono riaperti dopo un anno d’ interdizione al pubblico e l’occasione ufficiale fu l’Esposizione Emiliana, la fiera più rinomata della cultura agricola regionale ma anche dei settori industriale ed artistico/culturale del territorio- in concomitanza con i festeggiamenti per gli Ottocento anni dalla fondazione dell’Ateneo bolognese.
A proposito di tale manifestazione, è interessante ricordare un aneddoto che riguarda il noto pittore Carlo Corsi il quale, in un libro pubblicato nel 1969 (postumo alla sua morte avvenuta nel ‘66), racconta che all’età di nove anni visitò l’ Esposizione Emiliana dei Giardini Margherita -all’epoca correlata ad una mostra tenutasi presso San Michele in Bosco dove si potevano ammirare dipinti di artisti di grande fama come Segantini e Favretto- e proprio in quella circostanza egli comprese, ancora bambino, che da adulto sarebbe diventato un pittore.
Per l’Esposizione, nel parco furono costruiti -su progetto di Filippo Buriani- alcuni eleganti padiglioni e venne realizzato un tram a vapore che portava i visitatori a San Michele in Bosco, per accedere all’importante mostra.
Presto, purtroppo, il tutto dovette essere smantellato poichè l’abbondante afflusso di visitatori (più di mezzo milione) provocò qualche danno alle strutture.
Vennero mantenuti solo lo Chalet sul laghetto e la grande fontana circolare, impreziosita da gruppi scultorei di Diego Sarti, creata apposta per l’Esposizione Emiliana e successivamente traslata nel parco della Montagnola.
Le antichissime mura cittadine furono quasi del tutto abbattute all’inizio del Novecento, secondo il piano regolatore del 1889, quindi Bologna venne aperta al transito con carrozze e cavalli anche nelle aree circostanti il centro storico, tanto che attorno all’anello murario sorsero grandi viali; ancora oggi essi affiancano gli ingressi e il lato del parco che dalla via Castiglione conduce fino agli ottocenteschi casseri di Porta Santo Stefano.
Persino lo Chalet ha una storia tutta sua: inizialmente costruito in legno (sull’attuale piazzale dedicato al partigiano Mario Jacchia), fu ampliato nel 1880 ma, tredici anni dopo, venne distrutto da un incendio.
Così, prese il suo posto una elegante palazzina in pieno stile Liberty (su progetto del noto architetto Collemarini) che, nel corso del tempo, ha assunto vari ruoli tra cui quello di biblioteca e di asilo infantile.
Lo Chalet vero e proprio, invece, fu ricostruito nel 1894 mutando la sua posizione, che divenne, definitivamente, quella in cui si trova oggi.
Nel parco venne realizzato anche un servizio di piccole imbarcazioni ma nel 1902 accadde un incidente: una di queste barchette si rovesciò e i due ventenni che la occupavano, annegarono nel laghetto.
D’inverno, poi, sul ghiaccio che si formava sopra lo specchio dell’acqua, addirittura si pattinava, fino a agli anni Quaranta; infatti furono create apposite tribune lungo le sue rive.
Nel 1902 il Comune decise di concedere una porzione di terreno del parco ad un gruppo di giovani studenti per creare un circolo sportivo dedito al tennis: così, sorse il Lawn Tennis Club Bologna.
Vennero costruiti tre campi da gioco e una piccola zona di ristoro strutturata in legno.
Il circolo del tennis esiste tuttora.
All’anno successivo risale il varco d’ingresso ai Giardini (con la bellissima cancellata che si può ammirare ancora oggi) adiacente alla Porta Castiglione, accanto alla Chiesa della Misericordia.
Riguardo allo splendido cancello in ferro battuto, una voce di popolo narra che, subito dopo la seconda guerra mondiale, a causa della mancanza di mezzi di sostentamento che colpiva molte famiglie, tanta gente s’ ingegnava come poteva e così, un gruppetto di ragazzini di via Fondazza (oggi celebre strada dove visse il pittore Giorgio Morandi, non lontana dal parco), attendendo il buio della sera, pensò di smontare un’ ala del grande cancello pensando di poterla vendere a un fabbro della zona; avevano già caricato sulle spalle il “corpo del reato” e di soppiatto procedevano in fila indiana, quando vennero fermati da alcuni passanti: “Cosa fate furfanti? Fermatevi! Se vi acchiappiamo vi conciamo per le feste!”.
I ragazzini spaventati e vergognandosi come ladri, posarono la ingombrante “refurtiva” e scapparono a gambe levate, rinunciando per sempre all’improbabile impresa.
Ma torniamo indietro nel tempo e… alla storia ufficiale: nel 1912, al lato d’ingresso del viale che dà sulla Porta Santo Stefano venne posizionato il monumento realizzato dall’ artista Enrico Barbieri, dedicato al politico e letterato bolognese, Enrico Panzacchi.
Al contrario, ben poco artistica e per nulla brillante, era stata l’idea, otto anni prima (nel 1904), di creare una sorta di “mini-zoo”; si cominciò con dei cerbiatti chiusi in una piccola gabbia. Nel 1939 si aggiunsero due leoni donati dai reduci della guerra d’Etiopia; nel 1955 uno dei felini morì e il Lions Club ne procurò uno in sostituzione.
Finalmente all’inizio degli anni Ottanta si comprese che il parco non possedeva le caratteristiche adatte a gestire un contesto di animali selvatici e lo “pseudo mini-zoo” fu dismesso, anche in seguito ad un increscioso episodio in cui un bimbo molto piccolo, durante un attimo di disattenzione degli adulti, riuscì ad infilarsi nella gabbia dei leoni: fortunatamente fu salvato.
Ma tornando alla prima parte del XX° secolo, fu nel 1917 che nacquero le rinomate Scuole Fortuzzi per l’istruzione dei piccoli non abbienti, con problemi di salute; il luogo si prestava molto bene, grazie alla sua posizione immersa nel verde.
Nel 1932 si realizzò anche un ippodromo che, però, nel 1948 fu gestito dai militari; negli anni Sessanta venne dismesso.
Nel ’35 si svolse la IV Mostra Nazionale dell’Agricoltura e per quell’occasione il noto architetto Melchiorre Bega realizzò l’attuale Chalet.
Durante il secondo conflitto mondiale, nel 1941, per decisione del Podestà, in conseguenza alla crisi alimentare, si crearono i cosiddetti orti di guerra e anche il parco dei Giardini Margherita fu destinato a questa attività come del resto tutte le aree comunali libere, le quali vennero trasformate di luoghi di semina.
Nel ‘44 la Repubblica di Salò, che era in ostilità con i Savoia, fece trasferire il monumento del re Vittorio Emanuele II, realizzato nel 1888 da Giulio Monteverde, da Piazza Maggiore all’interno dei Giardini, dove tuttora si trova.
I Giardini Margherita ospitarono anche la prima Festa dell’Unità, nel 1950.
Negli anni successivi il parco accoglieva anche i campi estivi, ricreativi, per i bambini della città, ruolo che oggi, continua a ricoprire mentre resta un importante polmone verde urbano, oltre ad essere un luogo amatissimo dai bolognesi.
(Testo di Anna Rita Delucca Bologna, 10 gennaio 2024)