Le bellezze di Palazzo Pepoli Campogrande, nel cuore di Bologna

Sala di Alessandro Magno

 

Quadreria Zambeccari

Aggirandosi nei pressi delle Due Torri e guardandosi  attorno  col naso  all’insù, ci si      imbatte nella bellezza dei palazzi  storici  che costellano  i vicoletti  del  centro  storico bolognese.

Non vi è un angolo che  non  meriti  attenzione   percorrendo la lunghissima  via  Castiglione che  oltrepassa  persino le antiche mura di  cinta  cittadine -delle quali è   rimasto  solo il cassero  di Porta  Castiglione- e  prosegue oltre l’imbocco  pedecollinare.

Ma fermandosi qualche metro più avanti dell’alta Asinelli e della monca Garisenda, si fronteggiano due grandi, eleganti palazzi, l’uno  medievale e l’altro seicentesco. Nell’adocchiare il primo, non puoi fare ameno di notare il secondo: il più antico, con i suoi mattoni squadrati e lineari, intervallati da una lunga fila di  anelli  massicci a cui un tempo si  legavano i cavalli, ricorda un massiccio  castello/fortezza. Il più recente, ricco di  elementi stilistici e decorativi sulle facciate, mostra tutta la sua potenza ed autorevolezza.

Il palazzo vecchio e il palazzo nuovo

Entrambi gli edifici appartennero  alla blasonata famiglia di  cambiatori e prestatori  di  denaro,  De’   Pepoli  che con il suo stemma  a scacchiera,  per molto tempo governò la città di  Bologna, a partire almeno  dai   secoli  XIII° e XIV°, tra alti  e bassi, in lotta con i  ghibellini sin dal secolo precedente,  nelle  aspre contese tra i  Lambertazzi  e i Geremei (guelfi)  per il dominio  territoriale.

Le vicende  della famiglia Pepoli

I Pepoli, difensori della potente famiglia  Caccianemici, battagliavano contro i propri  avversari di  sempre, i Tettalasini,  perché un Pepoli (Guido)aveva ucciso in una rissa uno di loro,  tal  Giovanni; la faida durò per ben  quarant’anni, terminando  soltanto quando  Romeo Pepoli sposò una Tettalasini (Giovanna) e fu proprio in quell’occasione che acquisì l’area  sulla quale poi, il figlio  Taddeo,  edificò il primo palazzo, comprendendo  vari  blocchi che erano stati  costruiti  in diverse epoche.

L’ eccessivo potere di Romeo spinse altre famiglie importanti a cacciarlo ma poi, nel  1337,  suo figlio  Taddeo  riuscì a rientrare, con titoli ancora più imponenti, addirittura come vicario pontificio. Infatti la sua  ascesa coincise con la  caduta del  cardinale Bertrando  del Poggetto nel 1334. Taddeo (guelfo nero a supporto  dell’impero, contro il papato)) fece un accordo/compromesso  con papa Benedetto XII il quale,  da Avignone, malediceva i ribelli  antipapali (guelfi  neri che combattevano contro i guelfi  bianchi, difensori  del pontefice).

Così, tra compromessi e manovre politiche, il potere di Taddeo tenne botta e pare persino, ch’egli fosse apprezzato dalla cittadinanza; ma dopo di lui, i suoi discendenti  non furono alla  sua  altezza e  cedettero  il potere  ai Visconti, in cambio di  denaro. Inoltre, non fu  ceduta  soltanto  la città ma  pure  altri possedimenti,  come i caselli di  Crevalcore, di San Giovanni in Persiceto e  di Nonantola.

I Pepoli comunque riuscirono a mantenersi in auge in qualche modo, perché con l’avvento dei Bentivoglio essi li appoggiarono, ricevendone benefici di vario genere.

La famiglia  si ramificò  in tre discendenze che  tra l’altro,  continuarono a vivere vicine tra loro, tanto  che nel XVII°, costruirono pure il secondo  palazzo, proprio di  fronte al precedente; entrambi  ancora oggi, troneggiano con la propria  imponenza, su  quel  tratto  della via Castiglione su  cui poggiano le loro estese fondamenta.

L’edificio ‘nuovo’ seicentesco  e le opere d’arte

L’edificio  seicentesco, ora porta il nome di  Palazzo  Pepoli Campogrande  ed è la sede del distaccamento bolognese, del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico    oltre che succursale  della Pinacoteca Comunale che, ivi, conserva  ed espone al pubblico, un’ importante  serie  di  dipinti provenienti  dalla storica Collezione Zambeccari.

Il palazzo ‘nuovo’ fu realizzato per volere del  senatore  Odoardo Pepoli, su disegno  di Giovanni Battista Albertoni che realizzò la facciata principale  ma il nome  del progettista dell’edificio, è rimasto  tuttora ignoto (probabilmente Albertoni medesimo). La facciata  che dà su via Clavature, invece,  fu completata  più tardi , nel  1709,  da Antonio Torri.

Naturalmente il palazzo fu pensato come residenza signorile in rappresentanza   del prestigio sociale dei Pepoli che, da  commercianti di stoffe,  cambiavalute e banchieri, erano addivenute al più alto  livello di  famiglia senatoria; non caso,  passeggiando per le sale  decorate da splendidi  stucchi e  arricchite   d’affreschi con scene mitologiche e trionfi, si  respira appieno, l’atmosfera delle  grandi  feste e fastosi ritrovi cerimoniali  che   si  svolgevano in quei prestigiosi  locali,  tra il XVII° e il XVIII° secolo.

L’  ampio androne  d’accesso e l’elegante scalone d’onore (entrambi opere di Giangiacomo Monti )  accolgono   i visitatori, ammirati, che non possono fare a meno di  alzare lo sguardo  al  soffitto finemente affrescato con due stucchi ovali, dal  Canuti  che, nel  1665, rappresentò le Storie di Taddeo Pepoli e il conseguente episodio dell’accordo  con papa Benedetto XII°.

Una volta entrati  nel  salone di  ricevimento  principale, impreziosito da un pavimento   a scacchi ( con evidente richiamo al blasone dei  Pepoli) ci  si  trova   davanti ad un altro  spettacolo, sull’ ampia volta: l’  affresco del Canuti che  raffigura l’apoteosi di  Ercole sul monte Olimpo,   realizzato nel 1670 circa, con l’ausilio del  Mengazzino (al secolo Domenico  Santi) per le parti  dipinte delle architetture raffigurate accanto  agli stemmi dei vari  discendenti della famiglia. Lungo le  sale adiacenti, anch’esse decorate con affreschi di  grande qualità artistica, si possono ammirare  vari, splendidi  dipinti   facenti parte della collezione Zambeccari, allestiti alle pareti per arricchire ancor più,  l’ambiente che  assume un’ atmosfera barocca, con le opere di  grandi  maestri  fiamminghi e italiani   tra cui Tiziano, Donato Creti,  il Guercino,  Palma il Giovane,  i  Sirani  ed altri importantissimi artisti emiliani.

La sala che affianca il salone principale, porta il nome di  Sala Fèlsina ed oltre alle splendide opere  alle pareti, ripropone  fastosi  affreschi  sul soffitto, stavolta con  i Trionfi  di  Fèlsina ( l’antico  nome  della città di  Bologna) realizzati da Giuseppe ed Antonio Rolli,  mentre la  successiva Sala delle Stagioni  è impreziosita  da quelli  del  Crespi,     raffiguranti la personificazione delle  Quattro  Stagioni che circondano il Trionfo  di  Ercole.

Infine,  sulla volta dell’ultimo ambiente nel piano nobile, la Sala di Alessandro Magno affrescata, nel  1710,  da Donato  Creti   per volere di Alessandro Pepoli,   è raffigurato il giovane re macedone che sedutosi sul gradino di un elegante scalone in ripida salita verso l’alto,  recide il nodo  gordiano: un chiaro richiamo   alla forza decisionale  del rampollo  dei Pepoli.

Amicizia  con Napoleone Bonaparte

Nel XVIII° secolo infatti, la famiglia appoggiava Napoleone e le sue attività anticlericali: del resto era risaputo che i Pepoli   erano sempre stati guelfi neri, dalla parte degli imperatori, sin dai tempi più remoti. Nulla di contraddittorio, quindi, tanto che un Pepoli di nome Guido Taddeo, si sposò con la nipote di Bonaparte, Letizia Murat.

L’evoluzione della famiglia culminò con gli ideali risorgimentali del loro discendente, Gioacchino Napoleone Pepoli.

Successivamente il palazzo dopo vari avvenimenti entrò in possesso della famiglia Campogrande che, nel XX° secolo, concesse in donazione   al Comune di Bologna, il piano nobile dove, tuttora, una parte della Collezione Zambeccari rimane  visibile al pubblico .

La quadreria Zambeccari e la Maddalena  di  Elisabetta  Sirani

A proposito della quadreria e dei  suoi preziosi  esemplari,  non si può trascurare di  evidenziare  il  dipinto  di  una delle rare  artiste bolognesi, che ebbe fama rinomata  in città e  non solo, durante l’ epoca  barocca: è una splendida   Santa Maria  Maddalena   di   Elisabetta  Sirani  che l’artista realizzò nel  1660 e  oggi,  è esposta nella Sala  delle Stagioni. 

 La sua  posa  è distesa sulla roccia di un antro nascosto, lontano dal mondo, separato  dalle acque, raggiunto  con un piccola imbarcazione per  alienarsi, a pregare la Croce. A farle compagnia, due  angioletti sorridenti, sereni perché la peccatrice si è pentita    e si è lacerata  le vesti,  si  è spogliata  di  ogni  ben terreno. Ella  espone le sue nudità e  tutta la sua  bellezza  che resta  sì, seducente, con il suo corpo sinuoso  e i lunghi capelli fluenti,  ma è  finalmente   purificata,  libera da tutto ciò che è superfluo, impuro, inutile.

La figura di Maddalena è rappresentata con  una  eleganza che affascina, ancora oggi, lo spettatore che la  ammira. Tale   maestria   d’esecuzione stilistica  caratterizzò l’ arte della  Sirani la quale tra l’altro ebbe il merito -durante la sua brevissima  vita-    di condurre con grande successo il suo  atelier, sulla via Urbana al numero  7, frequentato da varie allieve. Un brillante  esempio di  innovazione  in  un’epoca che escludeva  a priori o teneva in scarsa considerazione, la capacità artistica  delle donne.

Anna Rita Delucca 20 /02/ 2023

  Santa Maria Maddalena di Elisabetta Sirani,1660

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Anna Rita Delucca
Anna Rita Delucca
Curatrice mostre Storica dell’arte Scrittrice Articolista Promotrice arte. Nel 2012 ha fondato l’associazione arte e cultura La Corte di Felsina nella città di Bologna

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